

Il 28 ottobre 2025 la città di Napoli e il mondo della fotografia hanno dato l’ultimo saluto a Mimmo Jodice, maestro della luce, del silenzio e della memoria. Nato nel Rione Sanità il 29 marzo 1934, Jodice ha costruito una lunga carriera – più di sessant’anni – all’insegna dell’indagine visiva: prima come sperimentatore, poi come docente, insegnando dal 1970 al 1994 all’Accademia di Belle Arti di Napoli.
Attraverso il suo obiettivo, Napoli non fu soltanto città-paesaggio, ma divenne lente di riflessione, scena dell’antico e del moderno, “veduta” e al contempo visione interiore.
Un’approssimazione biografica
Jodice nasce a Napoli, in un contesto che lo immerge fin da giovane nella pittura, nel disegno, nel teatro e in una ricca vita culturale periferica.
Negli anni ’60 inizia ad approcciarsi alla fotografia; la sua prima mostra personale risale al 1968 al Palazzo Ducale di Urbino.
Nel corso della carriera, Jodice collabora con figure dell’avanguardia – come Andy Warhol, Joseph Beuys, Sol LeWitt – e si immerge in una riflessione sul linguaggio fotografico e sui suoi codici.
Nel 2016, la grande retrospettiva Attesa 1960-2016 al Museo MADRE di Napoli ha dato conto della sua eccezionale produzione, riunendo oltre cento opere.
Infine, la scomparsa a 91 anni ha segnato la fine di un percorso, ma il suo lascito rimane intenso.
Napoli come paesaggio urbano, memoria e visione
Una delle chiavi per comprendere l’opera di Jodice è il suo rapporto con la città natale: Napoli appare non solo come soggetto, ma come soglia, come luogo di mediazione tra antico e contemporaneo, tra il visibile e l’invisibile.


In una Napoli rarefatta, svuotata del suo clamore, Mimmo Jodice trasforma la piazza monumentale in un teatro metafisico. Le architetture si sospendono nel silenzio, la luce scolpisce la pietra come una memoria che resiste al tempo.



Napoli non è solo scenario: è presenza, memoria; è la dialettica tra ciò che è stato e ciò che sarà. Le vedute urbane diventano paesaggi dell’attesa.

